✨1. Che cos’è il Civic Hacking?
A questa domanda si è dato in parte risposta nel capitolo 1 di questa tesi. Tramite l’analisi della letteratura in tema è stato possibile definire il Civic Hacking come una forma di attivismo civico condotto prevalentemente tramite l’utilizzo di strumenti informatici, con lo scopo di migliorare la qualità del benessere della società.
La selezione e lo studio di una community che si occupa di Civic Hacking è stato tuttavia un fattore determinante per poter analizzare il fenomeno più da vicino. Le interviste svolte con i membri di Open Data Sicilia hanno permesso di approfondire la definizione del fenomeno tramite il contribuito di chi se ne occupa in prima persona. Come affermato da uno dei soggetti intervistati, il Civic Hacking è “lavorare, da un punto di vista informatico, alla crescita e al miglioramento della società in generale” (M, 45-49 anni); un altro intervistato sottolinea che “il Civic Hacking è un concetto più ampio di quello di Open Data, che abbraccia diversi temi: quello della trasparenza, della partecipazione democratica e dell’open Government” (M, 55-60 anni) prefigurandosi in questo modo come “una forma di attivismo digitale che sta avendo modo di realizzarsi solamente ora” (M, 18-24 anni). C’è poi chi definisce il Civic Hacking a partire da una propria definizione di Civic Hacker, ovvero “persone che, senza interesse economico o personale, si mettono a osservare nel territorio dove vivono fenomeni di varia natura, dal sociale all’ambientale, provando attraverso le loro iniziative a proporre progetti con l’obiettivo di migliorare o apportare un miglioramento nella vita di tutti in termini di servizi” (M, 49-54 anni). Si tratta di un’interessante definizione che prende in considerazione un altro fondamentale elemento di tale attività: l’atto volontario e gratuito di mettere le proprie competenze al servizio del bene comune.
Durante le interviste è più volte emersa una riflessione interessante: il Civic Hacking ha trovato terreno fertile all’estero (Belgio, USA, Spagna sono stati tra i Paesi citati) piuttosto che in Italia, dove l’argomento ha incontrato delle barriere tecniche e culturali importanti. Alcuni intervistati hanno commentato che il divario di competenze e “l’ignoranza” informatica dei cittadini siano le ragioni di disinteressamento generalizzato, altri invece hanno individuato l’origine di ciò nel probabile fraintendimento derivante dal termine “hacking” in “Civic Hacking”, il quale “spaventa un po’ e non è chiaro come si faccia” (F, 35-39 anni). Sono state anche citate barriere di tipo istituzionale e legale, le quali alimentano la preoccupazione in tema di condivisione di dati che, se non conosciuti o analizzati attentamente prima di essere condivisi, possono comportare delle gravi violazioni di privacy (F, 40-44 anni).
In ogni caso, il Civic Hacking rimane un argomento ancora poco conosciuto e dibattuto, che incontra spesso barriere e resistenze da parte delle Pubbliche Amministrazioni che non sanno ancora bene se fidarsi o meno di queste iniziative cittadine. Negli anni il tema dei dati e della loro gestione è diventato un tema sempre più importante al quale dedicare attenzione; tuttavia, le amministrazioni e le istituzioni non sono in grado di soddisfare questa necessità a causa del mancato aggiornamento professionale e digitale dei propri dipendenti e responsabili. Per questo motivo, la seconda domanda di ricerca è modellata per indagare su questi aspetti e verificare se le barriere dovute all’inadeguatezza del sistema amministrativo pubblico siano veramente invalicabili o se qualche iniziativa di Civic Hacking abbia avuto modo di realizzarsi anche sul territorio italiano.
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