2.1 Le origini e le teorie del capitale sociale
In letteratura si fa risalire l’origine del concetto di capitale sociale a diversi autori, ma quasi tutti sono d’accordo nell’attribuire la sua popolarità a pochi di questi, tra cui James Coleman e Robert Putnam, che a partire dagli anni ’80-‘90 contribuirono ad un vero e proprio sviluppo della sua teoria e delle ricerche in tema. I due autori si differenziano per l’approccio adottato nello studio del capitale sociale e delle sue origini.
James Coleman ha caratterizzato la propria ricerca a partire dall’analisi dei comportamenti dei singoli agenti i quali, tramite i legami sociali, perseguono fini individuali che non sarebbero raggiungibili senza gli stessi; in alternativa, il loro raggiungimento si svelerebbe particolarmente costoso sotto vari aspetti. Egli consta che la definizione di capitale sociale è legata alla sua funzione, il cui valore come risorsa è prettamente legato alla percezione dei singoli attori (J. Coleman, 1990). Assieme a lui, autori come Mark Granovetter e Ronald Burt hanno parlato di capitale sociale come elemento implicito nelle relazioni sociali; in particolare, Granovetter si è a lungo dedicato alla teoria del legami deboli all’interno delle interazioni sociali, e della loro capacità di essere un canale di flusso informativo piuttosto efficiente; Burt invece si è speso nella definizione del valore del capitale sociale per l’individuo, all’interno delle reti, per poi applicarlo ai contesti lavorativi: egli descrive il capitale sociale come “una qualità creata tra le persone, a differenza del capitale umano che è una qualità degli individui” (R. Burt, 1997). Per Burt, il capitale sociale svolge un ruolo importante all’interno delle organizzazioni formali permettendo il realizzarsi di legami altamente informativi, individuabili e categorizzabili tramite la organizational network analysis. Questa metodologia di analisi consiste nel raccogliere dati sulle relazioni tra individui appartenenti alla stessa organizzazione (ed, eventualmente, ad organizzazioni esterne ma correlate) in modo da determinare il ruolo dei vari nodi e la loro posizione all’interno della rete, la tipologia dei vari legami instauratosi e la struttura della rete in generale: si tratta di analisi e studi utili al management per comprenderne il funzionamento ed eventualmente capire come apporre delle modifiche che ne vadano a migliorare l’efficienza. Da un altro punto di vista, questo approccio individualistico riconosce nel capitale sociale una fonte di disuguaglianza, andando a definire le diverse opportunità che i vari soggetti riescono a costruirsi durante le proprie carriere.
Robert Putnam, esponente del filone di ricerca che vede il capitale sociale come caratteristica di un aggregato spaziale e sociale utile a cogliere, nello sviluppo economico e democratico, le motivazioni alla base di disuguaglianze tra vari contesti sociali ed istituzionali, utilizza per la prima volta il concerto di capitale sociale ne “La Tradizione Civica Nelle Regioni Italiane” (1993). Qui egli si interroga su come le istituzioni formali incidano sulla pratica politica e sulle modalità di governo e su quali siano le condizioni per creare un’istituzione rappresentativa forte, efficace e responsabile, tramite lo studio del rendimento istituzionale delle regioni italiane, monitorandone gli andamenti dal momento della loro costituzione fino alla fine degli anni Ottanta. Nel rilevare le forti disuguaglianze tra nord e sud Italia, egli spiega come ciò sia dovuto alla maggiore o minore presenza di capitale sociale, inteso come il risultato della coesistenza di impegno civico, fiducia e solidarietà sul territorio, tra istituzioni e cittadini. Putnam individua una correlazione tra la partecipazione sociale e l’efficienza delle istituzioni amministrative regionali, sostenendo che il governo democratico locale è rafforzato dal confronto con una vigorosa comunità civica intessuta di relazioni fiduciarie estese, norme di reciprocità generalizzata e di reti di impegno civico. Questi contesti sociali sono fortemente legati alle tradizioni storiche e culturali dei territori, che ne hanno modellato la società e i rapporti tra i vari attori che ne fanno parte. Emerge così che una cultura basata sulla sfiducia a causa della prevalenza di legami sociali di tipo verticale e clientelare non permette agli individui di cooperare in favore del bene pubblico (F. Sabatini, 2004).
Nel suo saggio, Putnam studiò il rendimento istituzionale e il capitale sociale attraverso degli indici, rispettivamente:
l’analisi del rendimento istituzionale si basa sulle dimensioni
della gestione politica e amministrativa;
della legislazione;
dell’attuazione delle politiche istituzionali.
Queste dimensioni sono state studiate tramite la definizione di dodici indicatori (Andreotti, 2009): stabilità della giunta, puntualità nella presentazione del bilancio, servizi di informazione e statistica, riforme legislative, aspetti innovativi della legislazione regionale, presenza di asili nido, presenza di consultori familiari, strumenti di politica industriale, capacità di spesa nel settore agricolo, spese delle unità sociosanitarie locali, edilizia e sviluppo urbanistico, disponibilità degli apparati burocratici;
L’analisi del capitale sociale invece si focalizza sui tre indici che lo compongono:
l’impegno civico, dove per impegno civico si sta ad indicare l’effettiva attenzione del cittadino alle vicende politiche locali;
la fiducia, intesa sia come rapporto interpersonale che tra individuo ed istituzioni;
la solidarietà, intesa come norme di reciprocità.
Dai suoi studi è possibile definire che una democrazia è funzionante quando riesce diffondere la fiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche da parte della popolazione; ciò accade grazie ad un coinvolgimento della stessa all’interno delle scelte collettive (Brehm e Rahn, 1997; Rahn, Brehm e Carlson, 1999, Rothstein, 2003). L’estensione della fiducia dipende significativamente dalla percezione del funzionamento delle istituzioni amministrative e burocratiche da parte dei cittadini: se è nota una certa scorrettezza o criminalità, la diffidenza è elevata, portando ad una maggiore probabilità di comportamenti opportunistici che, a cascata, non permettono il crearsi e diffondersi di capitale sociale.
Last updated